Putin, Europa e noi

Putin, Europa e noi

Fabrizio Onida (Sole 24Ore, 20 febbraio 2022)

Apparentemente nessuno vuole oggi una guerra tra USA e Russia  sui confini geo-politici dell’Ukraina (“morire per Kiev?”) ma è difficile mantenersi lucidi e oggettivi nell’imperversare delle dichiarazioni ufficiali dai toni ultimativi e delle notizie ondivaghe sui movimenti di truppe e armamenti ai confini del fragilissimo Donbas e delle sedicenti “repubbliche del popolo” Donetsk e Luhansk. Circa 700.000 civili sarebbero pronti a cercare riparo in Russia, riproponendo scenari da  seconda guerra mondiale e dalla più recente guerra nell’ex-Yugoslavia.

Può sembrare fantasioso, ma forse l’Europa potrebbe lanciare segnali per guardare oltre i venti di guerra e allargare l’orizzonte politico delle parti, cercando più solide fondamenta per una lungimirante diplomazia della pace. Gli incontri Usa-Russia a Ginevra dello scorso 10 gennaio e i successivi colloqui nell’ambito dell’OSCE a Bruxelles sono stati inconcludenti e non hanno schiodato i due protagonisti Biden e Putin dalle rispettive  rigidità. Con Biden prigioniero di una maggioranza parlamentare fortemente anti-russa in chiave trumpiana e Putin ossessionato dall’accerchiamento che la Nato starebbe compiendo per spezzare le reni alla nostalgia del grande impero euroasiatico.

Servirebbero maggiori richiami alla  realtà, posto che “quando non puoi afferrare la realtà domina  il sospetto, anticamera  del delirio” (L.Caracciolo, La Stampa,8 gennaio).

La realtà vede  una Russia i cui noti punti di forza si accompagnano a sempre più evidenti fattori di debolezza.  Va tuttavia annotato che Foreign Affairs (novembre-dicembre 2021) metteva in guardia contro un’errata percezione del “mito del declino russo”,  concludendo che  Mosca  resta un potere persistente, lungi dal declino.

  Tra i principali punti di forza: 1° arsenale mondiale di armi nucleari (inclusi missili supersonici e sottomarini da  warfare  elettronico), 2° esportatore di armi, 2° produttore  di gas naturale, 3° produttore di petrolio, co-leader nella produzione aerospaziale e satellitare, riserve ufficiali valutarie cresciute a 615 miliardi di dollari, uno dei più bassi livelli di debito estero. Mosca resta il primo fornitore della Ue con i 30% del greggio e il 40% del gas naturale. 

 Tra I principali fattori di debolezza e criticità:  declino demografico causato da bassa natalità e alti tassi di mortalità (con qualche inversione  di tendenza negli anni più recenti), fuga  di cervelli solo parzialmente temperato da un robusto flusso immigratorio dalle repubbliche  ex-sovietiche, assenza di investimenti diretti dall’estero al di fuori delle industria estrattive, 129° su 180 paesi censiti dall’indice di corruzione  di Transparency International Corruption Perception Index,  scarso controllo delle tecnologie elettroniche civili avanzate che contrasta con il forte complesso militare-industriale e con l’elevata propensione ai cyberattacchi variamente diretti nello scenario evolutivo geostrategico. In termini geopolitici si aggiunga la spregiudicata annessione della Crimea, il sostegno a regimi  dittatoriali come quello di Lukaschenko in Bielorussia, la disinvolta propensione alla soppressione dei dissidenti all’estero, il rocambolesco fallito tentativo di uccisione del rivale Navalny.

Con questi dati  di realtà, l’Europa potrebbe tentare di contrastare  gli attuali venti di guerra mettendo sul tavolo un articolato programma  di cooperazione con la Russia e i paesi asiatici alleati proprio sui terreni su cui la popolazione civile e  quote crescenti di politici e amministratori nazionali e locali avvertirebbero significativi potenziali guadagni da  una coraggiosa diplomazia della pace.

  1. Intercettare la fuga dei cervelli offrendo generose facilitazioni  per l’ammissione a scuole e università europee. Notava sul Corsera del 20 febbraio Michael McFaul (ex-ambasciatore Usa  nella Russia di Putin 2012-14) che in Russia più sei giovane, ricco, istruito e vivi in città, più vuoi essere parte dell’Europa.
  2. Promuovere una collaborazione scientifica e  tecnologica su progetti  ad alto potenziale di innovazione in campo civile, come ad  esempio: edilizia residenziale, infrastrutture di trasporto e comunicazione, difesa  e  risanamento ambientale, chimica verde, agricoltura biologica e difesa della biodiversità, prevenzione dei disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici (in primis scongelamento del permafrost  siberiano). In un articolo su questo giornale del 1   settembre 2021 Adriana Castagnoli sosteneva che il cambiamento climatico appare una delle aree con  maggiori potenzialità di dialogo europeo con Mosca.
  3.  Accelerare una ancora timida cooperazione nella ricerca in campo epidemiologico e antivirale.
  4.  Incentivare investimenti diretti europei in Russia e paesi satelliti nei settori manifatturieri rivolti alla crescita dei consumi moderni, come auto-motoveicoli per la mobilità sostenibile, elettrodomestici e domotica, illuminazione domestica e urbana…).
  5. Altrettanto dicasi per quanto riguarda gli investimenti diretti europei nei beni strumentali che facilitino l’industrializzazione diffusa  e lo sviluppo di reti di impresa.
  6. Favorire turismo e investimenti immobiliari russi in Europa, non solo delle classi ultra-ricche.

E’ probabilmente vero che per dissuadere Putin dall’ipotetica invasione dell’Ukraina, potenzialmente devastante a livello continentale se non globale, non basta la minaccia delle sanzioni economico-finanziarie come quelle introdotte da otto anni dopo l’invasione della Crimea (Alessia Amighini, La Voce.info, 28 gennaio). E’ altrettanto vero che i principali poteri economico-finanziari dell’Occidente non hanno ancora preso seriamente in considerazione sanzioni radicali come l’isolamento delle banche russe dal sistema  Swift dei pagamenti cross-border. Ma a maggior ragione, mentre restano imperscrutabili le mosse dello zar Putin, per la diplomazia europea non rigidamente condizionata dalla politica estera americana, ci sono forse spazi per iniziative che spareggino il gioco delle parti.

fabrizio.onida@unibocconi.it

Fabrizio Onida (Sole 24Ore, 20 febbraio 2022)

Apparentemente nessuno vuole oggi una guerra tra USA e Russia  sui confini geo-politici dell’Ukraina (“morire per Kiev?”) ma è difficile mantenersi lucidi e oggettivi nell’imperversare delle dichiarazioni ufficiali dai toni ultimativi e delle notizie ondivaghe sui movimenti di truppe e armamenti ai confini del fragilissimo Donbas e delle sedicenti “repubbliche del popolo” Donetsk e Luhansk. Circa 700.000 civili sarebbero pronti a cercare riparo in Russia, riproponendo scenari da  seconda guerra mondiale e dalla più recente guerra nell’ex-Yugoslavia.

Può sembrare fantasioso, ma forse l’Europa potrebbe lanciare segnali per guardare oltre i venti di guerra e allargare l’orizzonte politico delle parti, cercando più solide fondamenta per una lungimirante diplomazia della pace. Gli incontri Usa-Russia a Ginevra dello scorso 10 gennaio e i successivi colloqui nell’ambito dell’OSCE a Bruxelles sono stati inconcludenti e non hanno schiodato i due protagonisti Biden e Putin dalle rispettive  rigidità. Con Biden prigioniero di una maggioranza parlamentare fortemente anti-russa in chiave trumpiana e Putin ossessionato dall’accerchiamento che la Nato starebbe compiendo per spezzare le reni alla nostalgia del grande impero euroasiatico.

Servirebbero maggiori richiami alla  realtà, posto che “quando non puoi afferrare la realtà domina  il sospetto, anticamera  del delirio” (L.Caracciolo, La Stampa,8 gennaio).

La realtà vede  una Russia i cui noti punti di forza si accompagnano a sempre più evidenti fattori di debolezza.  Va tuttavia annotato che Foreign Affairs (novembre-dicembre 2021) metteva in guardia contro un’errata percezione del “mito del declino russo”,  concludendo che  Mosca  resta un potere persistente, lungi dal declino.

  Tra i principali punti di forza: 1° arsenale mondiale di armi nucleari (inclusi missili supersonici e sottomarini da  warfare  elettronico), 2° esportatore di armi, 2° produttore  di gas naturale, 3° produttore di petrolio, co-leader nella produzione aerospaziale e satellitare, riserve ufficiali valutarie cresciute a 615 miliardi di dollari, uno dei più bassi livelli di debito estero. Mosca resta il primo fornitore della Ue con i 30% del greggio e il 40% del gas naturale. 

 Tra I principali fattori di debolezza e criticità:  declino demografico causato da bassa natalità e alti tassi di mortalità (con qualche inversione  di tendenza negli anni più recenti), fuga  di cervelli solo parzialmente temperato da un robusto flusso immigratorio dalle repubbliche  ex-sovietiche, assenza di investimenti diretti dall’estero al di fuori delle industria estrattive, 129° su 180 paesi censiti dall’indice di corruzione  di Transparency International Corruption Perception Index,  scarso controllo delle tecnologie elettroniche civili avanzate che contrasta con il forte complesso militare-industriale e con l’elevata propensione ai cyberattacchi variamente diretti nello scenario evolutivo geostrategico. In termini geopolitici si aggiunga la spregiudicata annessione della Crimea, il sostegno a regimi  dittatoriali come quello di Lukaschenko in Bielorussia, la disinvolta propensione alla soppressione dei dissidenti all’estero, il rocambolesco fallito tentativo di uccisione del rivale Navalny.

Con questi dati  di realtà, l’Europa potrebbe tentare di contrastare  gli attuali venti di guerra mettendo sul tavolo un articolato programma  di cooperazione con la Russia e i paesi asiatici alleati proprio sui terreni su cui la popolazione civile e  quote crescenti di politici e amministratori nazionali e locali avvertirebbero significativi potenziali guadagni da  una coraggiosa diplomazia della pace.

  1. Intercettare la fuga dei cervelli offrendo generose facilitazioni  per l’ammissione a scuole e università europee. Notava sul Corsera del 20 febbraio Michael McFaul (ex-ambasciatore Usa  nella Russia di Putin 2012-14) che in Russia più sei giovane, ricco, istruito e vivi in città, più vuoi essere parte dell’Europa.
  2. Promuovere una collaborazione scientifica e  tecnologica su progetti  ad alto potenziale di innovazione in campo civile, come ad  esempio: edilizia residenziale, infrastrutture di trasporto e comunicazione, difesa  e  risanamento ambientale, chimica verde, agricoltura biologica e difesa della biodiversità, prevenzione dei disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici (in primis scongelamento del permafrost  siberiano). In un articolo su questo giornale del 1   settembre 2021 Adriana Castagnoli sosteneva che il cambiamento climatico appare una delle aree con  maggiori potenzialità di dialogo europeo con Mosca.
  3.  Accelerare una ancora timida cooperazione nella ricerca in campo epidemiologico e antivirale.
  4.  Incentivare investimenti diretti europei in Russia e paesi satelliti nei settori manifatturieri rivolti alla crescita dei consumi moderni, come auto-motoveicoli per la mobilità sostenibile, elettrodomestici e domotica, illuminazione domestica e urbana…).
  5. Altrettanto dicasi per quanto riguarda gli investimenti diretti europei nei beni strumentali che facilitino l’industrializzazione diffusa  e lo sviluppo di reti di impresa.
  6. Favorire turismo e investimenti immobiliari russi in Europa, non solo delle classi ultra-ricche.

E’ probabilmente vero che per dissuadere Putin dall’ipotetica invasione dell’Ukraina, potenzialmente devastante a livello continentale se non globale, non basta la minaccia delle sanzioni economico-finanziarie come quelle introdotte da otto anni dopo l’invasione della Crimea (Alessia Amighini, La Voce.info, 28 gennaio). E’ altrettanto vero che i principali poteri economico-finanziari dell’Occidente non hanno ancora preso seriamente in considerazione sanzioni radicali come l’isolamento delle banche russe dal sistema  Swift dei pagamenti cross-border. Ma a maggior ragione, mentre restano imperscrutabili le mosse dello zar Putin, per la diplomazia europea non rigidamente condizionata dalla politica estera americana, ci sono forse spazi per iniziative che spareggino il gioco delle parti.

fabrizio.onida@unibocconi.it

Putin, Europa e noi

Fabrizio Onida (Sole 24Ore, 20 febbraio 2022)

Apparentemente nessuno vuole oggi una guerra tra USA e Russia  sui confini geo-politici dell’Ukraina (“morire per Kiev?”) ma è difficile mantenersi lucidi e oggettivi nell’imperversare delle dichiarazioni ufficiali dai toni ultimativi e delle notizie ondivaghe sui movimenti di truppe e armamenti ai confini del fragilissimo Donbas e delle sedicenti “repubbliche del popolo” Donetsk e Luhansk. Circa 700.000 civili sarebbero pronti a cercare riparo in Russia, riproponendo scenari da  seconda guerra mondiale e dalla più recente guerra nell’ex-Yugoslavia.

Può sembrare fantasioso, ma forse l’Europa potrebbe lanciare segnali per guardare oltre i venti di guerra e allargare l’orizzonte politico delle parti, cercando più solide fondamenta per una lungimirante diplomazia della pace. Gli incontri Usa-Russia a Ginevra dello scorso 10 gennaio e i successivi colloqui nell’ambito dell’OSCE a Bruxelles sono stati inconcludenti e non hanno schiodato i due protagonisti Biden e Putin dalle rispettive  rigidità. Con Biden prigioniero di una maggioranza parlamentare fortemente anti-russa in chiave trumpiana e Putin ossessionato dall’accerchiamento che la Nato starebbe compiendo per spezzare le reni alla nostalgia del grande impero euroasiatico.

Servirebbero maggiori richiami alla  realtà, posto che “quando non puoi afferrare la realtà domina  il sospetto, anticamera  del delirio” (L.Caracciolo, La Stampa,8 gennaio).

La realtà vede  una Russia i cui noti punti di forza si accompagnano a sempre più evidenti fattori di debolezza.  Va tuttavia annotato che Foreign Affairs (novembre-dicembre 2021) metteva in guardia contro un’errata percezione del “mito del declino russo”,  concludendo che  Mosca  resta un potere persistente, lungi dal declino.

  Tra i principali punti di forza: 1° arsenale mondiale di armi nucleari (inclusi missili supersonici e sottomarini da  warfare  elettronico), 2° esportatore di armi, 2° produttore  di gas naturale, 3° produttore di petrolio, co-leader nella produzione aerospaziale e satellitare, riserve ufficiali valutarie cresciute a 615 miliardi di dollari, uno dei più bassi livelli di debito estero. Mosca resta il primo fornitore della Ue con i 30% del greggio e il 40% del gas naturale. 

 Tra I principali fattori di debolezza e criticità:  declino demografico causato da bassa natalità e alti tassi di mortalità (con qualche inversione  di tendenza negli anni più recenti), fuga  di cervelli solo parzialmente temperato da un robusto flusso immigratorio dalle repubbliche  ex-sovietiche, assenza di investimenti diretti dall’estero al di fuori delle industria estrattive, 129° su 180 paesi censiti dall’indice di corruzione  di Transparency International Corruption Perception Index,  scarso controllo delle tecnologie elettroniche civili avanzate che contrasta con il forte complesso militare-industriale e con l’elevata propensione ai cyberattacchi variamente diretti nello scenario evolutivo geostrategico. In termini geopolitici si aggiunga la spregiudicata annessione della Crimea, il sostegno a regimi  dittatoriali come quello di Lukaschenko in Bielorussia, la disinvolta propensione alla soppressione dei dissidenti all’estero, il rocambolesco fallito tentativo di uccisione del rivale Navalny.

Con questi dati  di realtà, l’Europa potrebbe tentare di contrastare  gli attuali venti di guerra mettendo sul tavolo un articolato programma  di cooperazione con la Russia e i paesi asiatici alleati proprio sui terreni su cui la popolazione civile e  quote crescenti di politici e amministratori nazionali e locali avvertirebbero significativi potenziali guadagni da  una coraggiosa diplomazia della pace.

  1. Intercettare la fuga dei cervelli offrendo generose facilitazioni  per l’ammissione a scuole e università europee. Notava sul Corsera del 20 febbraio Michael McFaul (ex-ambasciatore Usa  nella Russia di Putin 2012-14) che in Russia più sei giovane, ricco, istruito e vivi in città, più vuoi essere parte dell’Europa.
  2. Promuovere una collaborazione scientifica e  tecnologica su progetti  ad alto potenziale di innovazione in campo civile, come ad  esempio: edilizia residenziale, infrastrutture di trasporto e comunicazione, difesa  e  risanamento ambientale, chimica verde, agricoltura biologica e difesa della biodiversità, prevenzione dei disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici (in primis scongelamento del permafrost  siberiano). In un articolo su questo giornale del 1   settembre 2021 Adriana Castagnoli sosteneva che il cambiamento climatico appare una delle aree con  maggiori potenzialità di dialogo europeo con Mosca.
  3.  Accelerare una ancora timida cooperazione nella ricerca in campo epidemiologico e antivirale.
  4.  Incentivare investimenti diretti europei in Russia e paesi satelliti nei settori manifatturieri rivolti alla crescita dei consumi moderni, come auto-motoveicoli per la mobilità sostenibile, elettrodomestici e domotica, illuminazione domestica e urbana…).
  5. Altrettanto dicasi per quanto riguarda gli investimenti diretti europei nei beni strumentali che facilitino l’industrializzazione diffusa  e lo sviluppo di reti di impresa.
  6. Favorire turismo e investimenti immobiliari russi in Europa, non solo delle classi ultra-ricche.

E’ probabilmente vero che per dissuadere Putin dall’ipotetica invasione dell’Ukraina, potenzialmente devastante a livello continentale se non globale, non basta la minaccia delle sanzioni economico-finanziarie come quelle introdotte da otto anni dopo l’invasione della Crimea (Alessia Amighini, La Voce.info, 28 gennaio). E’ altrettanto vero che i principali poteri economico-finanziari dell’Occidente non hanno ancora preso seriamente in considerazione sanzioni radicali come l’isolamento delle banche russe dal sistema  Swift dei pagamenti cross-border. Ma a maggior ragione, mentre restano imperscrutabili le mosse dello zar Putin, per la diplomazia europea non rigidamente condizionata dalla politica estera americana, ci sono forse spazi per iniziative che spareggino il gioco delle parti.

fabrizio.onida@unibocconi.it