Xi tesse la tela di una Cina perno dell’Asia sud-orientale

 Il Sole 24 ore, 28 gennaio 2017

Il comunista confuciano Xi JinPing a Davos ha messo alle corde i detrattori della globalizzazione, in primis il neo-colbertista-isolazionista Trump e in secondo piano lo sfumato neo-nazionalismo della Brexit , evocando l’armonia di un mondo in cui l’apertura internazionale dei paesi è un gioco a somma positiva (win win), sia pure con le contraddizioni che storicamente accompagnano il progresso tecnologico e lo sviluppo economico-sociale, arrivando a citare Charles Dickens sul mondo nato dalla  rivoluzione industriale (“il migliore dei mondi, il  peggiore dei mondi”).  Ha ricordato che i costi sociali delle migrazioni di massa, dei 700 milioni di cittadini del mondo in povertà estrema, delle ineguaglianze crescenti, del terrorismo, della crisi finanziaria e della disoccupazione sono l’effetto di politiche nazionali sbagliate, di una globalizzazione mal governata, non della globalizzazione come fenomeno alla lunga positivo e irreversibile.

Una sorprendente dose di illuminato liberismo e di antica saggezza, volta a rispondere alla provocazione dei minacciati dazi americani sulle merci cinesi e al non riconoscimento formale della Cina come “economia di mercato” da parte europea? O piuttosto una conferma dell’abile opportunismo con cui la Cina ha negoziato l’ingresso nella WTO del 2001 e oggi tesse la tela di una Cina sempre più perno (hub) dell’economia asiatica sud-orientale e riferimento politico alternativo alla grande alleanza occidentale?  Al negoziato a guida americana TPP (Trans Pacific Partnership), che Trump ha già affondato, la Cina contrappone quello sul RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), iniziato nel 2012, e il programma One Belt One Road.  Programmi di liberalizzazione commerciale e cooperazione economica che si estendono all’intera area dei paesi emergenti asiatici (India e Sud Corea inclusi) ma anche a Giappone-Australia-Nuova Zelanda.  Il RCEP coinvolge oggi 16 paesi che complessivamente coprono a livello mondiale il 40 per cento della popolazione, il 30 per cento del PIL e il 40 per cento del commercio.

Questa prospettiva non è certo una strada in discesa per l’attuale e prossima leadership cinese. A parte l’incognita Putin e l’imprevedibile geopolitica del Trump di “America first”, all’interno del RCEP almeno India e Giappone saranno molto cauti nel concedere spazio alla Cina sul delicato terreno degli equilibri nucleari e militari in Asia e Medio Oriente.

 Ma c’è un altro accento importante nel discorso di Xi Jinping a Davos, cioè la scommessa su un sentiero di crescita della Cina trainato dall’innovazione che aumenta la produttività. Un percorso di “new normal” che ha già cominciato a vedere un’economia meno dipendente da investimenti nell’industria pesante e nelle costruzioni, più trainata da consumi (a cui sono dovuti due terzi della crescita del 6,7 per cento nel 2016) e servizi. Il settore terziario, che già oggi genera il 53 per cento del PIL, continua a guadagnare quota rispetto all’agricoltura e all’industria, come previsto dai più classici modelli dello sviluppo economico moderno (Kuznets).

Capovolgendo il rapporto storico tra investimenti esteri diretti col resto del mondo, Xi Jinping prevede nei prossimi cinque anni investimenti cinesi in uscita di 700 miliardi di dollari contro 600 in entrata. Nel solo 2016 la Cina ha fatto acquisizioni di imprese europee per quasi 22 miliardi in settori che includono servizi Internet, robotica, telecom, energia, aviazione. Investimenti diretti in entrambe le direzioni si confermeranno canale di apprendimento tecnologico e competitivo per la Cina, ma insieme occasione per allargare il potenziale di mercato asiatico per prodotti e servizi occidentali. Attenzione: con il gigante cinese servono politiche assertive, anche di dura difesa doganale nei casi di grave turbativa dei mercati, ma ancor più (confucianamente) una veduta lunga (Tommaso Padoa Schioppa).

fabrizio.onida@unibocconi.it