Perché voltare pagina sul commercio globale richiederà tempo

Fabrizio Onida  (Sole 24Ore,  13 novembre 2021)

L’insediamento a inizio anno dell’Amministrazione Biden ha allontanato i timori di una diffusa guerra dei dazi a livello planetario, provocati dalle improvvide iniziative di Trump contro Cina e Ue sulle importazioni di acciaio e alluminio, accompagnate da una dichiarata avversione al ruolo della WTO come istituzione di governo multilaterale.  Allontanandosi da  una storica  tradizione di fede liberista, una quota significativa del Partito Repubblicano (Grand old party) in versione trumpiana si è avvicinata al Partito Democratico nel cogliere il progressivo mutamento degli umori della pubblica  opinione sui conclamati benefici  del libero scambio multilaterale, nel senso di un crescente scetticismo.

 La nuova Amministrazione Usa fatica a girare pagina (o non ha fretta di farlo) in tema di politica economica estera. Vi è pertanto un grande vuoto nella certezza  del diritto nelle procedure di soluzione delle controversie da quando Trump ha bloccato il rinnovo dei membri scaduti del tribunale d‘appello della Wto (Appellate Body). Ed è finora fallito il tentativo di UE e Cina di varare un meccanismo alternativo alla Wto, soluzione respinta da  paesi pesanti come Regno Unito, Giappone, Russia, Corea del Sud). Sono certamente possibili miglioramenti nei meccanismi di funzionamento del primo e secondo livello di giudizio, ma non vi sono alternative al mantenimento di questa fondamentale applicazione della Rule of law.

Sul fronte delle relazioni diplomatico-commerciali con la frontiera Asia-Pacifico, Biden non ha mostrato segni di ripensamento sull’ordine esecutivo del Trump della prima ora (23 gennaio 2017) di ritirare formalmente l’adesione degli Usa al Tpp (Trans-Pacific Partnership) firmato da 12 paesi a Auckland (Nuova Zelanda) il 4 febbraio 2016. Resta teoricamente aperto un futuro rientro degli Usa di Biden nella nuova versione concordata con gli altri 11 paesi del Tpp-11 ovvero Cptpp (Comprehensive and Progressive Agreement  for Trans-Pacific  Partnership), che si propone di creare una delle aree più estese al mondo di libera circolazione di merci e capitali, un’area che interessa 500 milioni di abitanti che generano il 13% dei 10 trilioni di dollari cui si stima ammonti il Pil mondiale.

Nel frattempo la Cina, come contromossa diplomatica al Tpp-11, a fine 2020 ha annunciato con la Ue  un’ampia intesa preliminare per la protezione degli investimenti diretti reciproci (CAI: Comprehensive Agreement on Investment): forse un passo senza precedenti verso la liberalizzazione  del mercato cinese. L’intesa non ha tuttavia finora avuto seguito, principalmente per i dubbi nel frattempo sollevati da alcuni parlamentari europei e  dallo stesso commissario europeo al commercio Valdis Dombrovskis circa le gravissime accuse(crimini contro l’umanità, genocidio) mosse a Pechino per il trattamento  riservato alla minoranza uigura nello Xinjiang.

In Europa e altrove l’emergenza Covid sulla produzione e disponibilità dei vaccini ha rilanciato allarmi e polemiche sulla sostenibilità delle cosiddette catene globali del valore, dal momento che i processi di ricerca, sperimentazione e distribuzione dei vaccini chiamano in causa una fitta rete di interdipendenza  tecnologica internazionale  fra imprese e laboratori, con possibili fragilità nella continuità dell’offerta.

In Europa, ma anche in Giappone, si è aperto un dibattito sulla “dipendenza strategica”. Un rapporto della Commissione Europea identifica 137 su 5000 prodotti importati in cui è dominante un singolo fornitore estero e sembra difficile trovare un fornitore alternativo (come per alcuni principi attivi farmaceutici, alcuni semiconduttori, diverse terre rare).

La nuova US Trade Representative Katherine Tai denuncia che nelle esportazioni mondiali del 2020 è cresciuta al 33% la quota di prodotti che  beneficiano di sussidi statali. Da cui pressioni per il “Buy American” e per introdurre vincoli di “local content” sui fornitori esteri che accedono ad appalti pubblici. In Giappone si discute se offrire sostanziosi incentivi alla taiwanese Tsmc per aprire una facility locale. In Europa è stata fatta una simile proposta all’americana Intel.  Sono tutte misure cosiddette behind  the border, fuori dai tradizionali negoziati commerciali, ma potenzialmente distruttive dei principi di apertura degli scambi.

Molti segnali sono contraddittori, ma al cuore della geopolitica resta attuale l’antica affermazione che “laddove passano le merci non passano gli eserciti”.

fabrizio.onida@unibocconi.it