Nella lunga marcia verso l’autonomia strategica l’Unione è ancora disunita

Fabrizio Onida (Sole 24Ore, 29 marzo 2022)

La notizia recente che il colosso americano della microelettronica Intel progetta di costruire  a Magdeburg  (Germania) entro il 2027 due megaimpianti per la produzione di semiconduttori (chips)) sta risvegliando un dibattito un po’ sotto traccia circa le prospettive realistiche di un’Europa dotata di “autonomia strategica” nella competizione tecnologica mondiale. Intel investirà in questo progetto 17 miliardi di dollari (15,5 miliardi di euro), che si aggiungeranno a 12 miliardi previsti per investimenti simili in Irlanda e 20 miliardi per  due nuovi impianti domestici nella madrepatria, in Arizona. I due megaimpianti tedeschi contribuiranno a generare 7000 nuovi addetti nella fase di progettazione e costruzione e 3000 addetti permanenti dal 2027 in poi.

Macron aveva esercitato un forte azione di lobby per convincere Intel a collocare tali investimenti in Francia. In mancanza, ospiterà la nascita di un centro di ricerca specializzato su  intelligenza artificiale e calcolo avanzato, diventando il  principale  centro europeo di Intel nella progettazione delle fonderie  in silicio: non male comunque come risultato dell’azione lobbystica!

 L’iniziativa di Intel darà un sostanzioso contributo esterno al decollo del Chips Act, varato dalla Commissione europea lo scorso febbraio 2022 e mirato a promuovere una tendenziale autosufficienza produttiva  europea nei semiconduttori.

La  scelta della Germania per la localizzazione dei due megaimpianti di componentistica ultra-avanzata sembra riflettere, accanto alla valutazione di un contesto politico-sociale favorevole nel quadro inquieto di un’Europa in movimento, i vantaggi dell’inserimento dell’investitore americano in un tessuto industriale (ecosistema) europeo caratterizzato dalla presenza di protagonisti qualificati del settore automotive, oggi fortemente orientati alla grande  transizione verso i veicoli elettrici e la conseguente domanda di componentistica  microelettronica. Non da oggi, i grandi gruppi multinazionali sono molto sensibili alla presenza di ecosistemi innovativi nelle aree geografiche verso cui guardano per la propria diversificazione geografica. 

In questo quadro si può sperare che si aprano anche per l’ltalia prospettive di attrazione di investimenti dall’estero in comparti di alta tecnologia che, senza sogni velleitari di balzi nel futuro, valorizzino il nostro ricco capitale umano che possiede competenze ingegneristiche e sistemiche tipicamente capaci di soddisfare una domanda capillare di soluzioni tecnologiche dedicate (custom) flessibili, adattive e combinatorie. Competenze da sempre invidiate a confronto con tradizioni accademiche, culturali e tecniche di paesi come  Usa, Regno Unito, Svezia, Giappone, India, Cina.  Dopo il successo dell’operazione Fiat-Chrisler Automobiles dovuta al genio di Marchionne,  l’attrattività dell’Italia per investitori esteri nel settore automotive ha perso colpi, anche se si possono scorgere segnali recenti positivi come la nascita della italo-franco-americana Stellantis, oltre che di iniziative come Audi-VW che punta a insediare in Italia  un polo produttivo europeo di batterie a ioni di litio, adatte al mercato nei segmenti alti delle future auto elettriche come Lamborghini e Ducati.

Tornando al controverso tema dell’autonomia strategica nella politica industriale dell’Europa, dopo quasi un  anno c’è da chiedersi quali iniziative si sono materializzate a seguito delle indicazioni contenute nel documento della Commissione “Updating  the 2020 New Industrial Strategy: Building a stronger  Single Market  for Europe’s recovery” (5 maggio 2021).

Il combinato disposto della pandemia da Covid19 e del conflitto Russia-Ukraina ha nel frattempo sconvolto l’agenda della politica economica europea e alzato la sfida  della doppia transizione  verde e digitale (NGEU: Next Generation EU) che ogni paese membro affronta in assenza di una (utopistica?) regia coordinata da Bruxelles. Il documento cita casi in cui, senza una cooperazione europea (meglio se aperta a Usa, Giappone e Corea), rischiamo di fallire il raggiungimento di obiettivi comuni, ad esempio nella filiera dell’idrogeno mirata a realizzare la decarbonizzazione nella produzione e distribuzione dell’energia.

Le “dipendenze strategiche” dell’Europa nel quadro della divisione del lavoro a livello mondiale toccano temi sempre più complessi: sicurezza e vulnerabilità (security) dei confini nazionali, protezione e  difesa (safety) dei cittadini, salute, clima, sicurezza  informatica. I Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR), chiamati  ad allocare 37% delle risorse al clima e 20% al digitale, sono un banco di prova senza precedenti di innovazione  e di coordinamento fra istituzioni e soggetti di mercato.

Naturalmente  bisogna sempre  evitare di confondere autonomia  strategica con protezionismo autarchico, sovranismo, indipendenza, unilateralismo.

Il ministro delle finanze francese Bruno LeMaire all’unisono con il collega tedesco ricorda spesso che in Europa dobbiamo massicciamente investire nelle tecnologie di punta. L’allora ministra della difesa  tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer, riferendosi nel 2020 alla difesa ma anche alle fonti di energia alternative, metteva però in guardia contro le “illusioni dell’autonomia strategica”, ricordando quanto è essenziale la dimensione transatlantica accanto a quella intra-europea (“Europe still needs America” Politico, 2 novembre 2020).   

Certo colpisce il fatto che il grande settore delle ICT (Information Communications Technologies) in Europa contribuisce all’1,7% del Pil , contro il 2,1% in Cina e il 3,3% negli Usa. Un altro dato che fa  pensare: dal 2011 ad oggi solo il 13% dei nuovi entranti nella graduatoria mondiale dei top R&D spenders  sono europei, contro il 25% di cinesi e il 37% di americani.

Il Consiglio UE ha chiesto alla Commissione  di “identificare le dipendenze strategiche., particolarmente negli ecosistemi industriali più “sensibili”,  a cominciare dalla salute (difesa  dalle pandemie) ma estendendosi all’insieme di beni e servizi essenziali per la  rivoluzione verde e  digitale.  Vi sono intrecci crescenti fra le ”tecnologie chiave abilitanti” (come  IA, generazione e distribuzione di energie fossili e alternative) nei tre campi civile, difesa e spazio.

La Commissione indica sia alcune aree critiche che condizionano la crescita della famosa “produttività totale dei fattori” (come cloud computing, edge computing, intelligenza artificiale, realtà aumentata, cybersicurezza, supercomputers), sia molte tematiche che dovrebbero essere oggetto degli attuali e futuri “Important Projects of  Common European Interest” (IPCEI) che stanno troppo lentamente decollando. Tra queste tematiche IPCEI si collocano già oggi batterie elettriche e semiconduttori, ma a regime potrebbero entrare veicoli a conduzione autonoma, siderurgia e metallurgia a basso tasso di CO2, filiera del’idrogeno, filiera aerospaziale.

In conclusione, un’Europa ancora troppo disunita ha molta strada da  compiere per promuovere il futuro dei propri figli e nipoti.

fabrizio.onida@unibocconi.it