Un modello tedesco da imitare con il nostro Pnrr

Fabrizio Onida (Sole24Ore 27 aprile 2021)

In vista del Recovery Plan italiano (PNNR) che il governo Draghi si appresta a presentare a Bruxelles , un osservatore assai avveduto delle scelte di politica industriale come Stefano Firpo, che  per anni è stato protagonista dall’interno del Mise del grande programma Industria 4.0 (poi ribattezzato Impresa 4.0, oggi Transizione 4.0), segnalava tempo fa (Il Foglio del 2 febbraio 2021) l’urgenza di non disperdere i massicci fondi (prestiti e contributi a fondo perduto) destinati al settore privato all’interno delle prime due Missioni distribuendoli a pioggia oppure assegnandoli a  progetti velleitari. Pe memoria, le prime due sul totale  delle sei Missioni assegnate al Recovery Fund sono: 1) Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura; 2) Rivoluzione verde e Transizione ecologica). Per accelerare efficacemente la transizione digitale ed ecologica delle imprese servirebbe condizionare l’erogazione di buona parte degli incentivi a espliciti progetti di aggregazione di imprese medie e piccole intorno a progetti innovativi di respiro europeo con precisi capofila.

Un apposito Forum della Commissione Europea dedicato ai cosiddetti IPCEI (Important Projects of Common European Interest), dalla sua nascita nel settembre 2017 sta molto  lentamente varando le proposte. Queste finora includono sia progetti ben mirati (come batterie, filiera dell’idrogeno, infrastrutture per i servizi cloud),  sia progetti a spettro estremamente ampio come  “microelettronica” che rischiano di incoraggiare proposte velleitarie come la gara  mondiale per la produzione di semiconduttori.

Il recente rapporto Istat sui “Conti economici delle imprese e dei gruppi di impresa” (20 ottobre 2020) fornisce un dato eloquente per sottolineare l’importanza di incentivi all’aggregazione volti a combattere i noti limiti italiani del “nanismo” d’impresa. Limiti denunciati sempre più  dalle massime autorità sia in casa nostra (Banca d’Italia, Istat, Mef) che a livello internazionale (tra cui Ocse, Fondo monetario, Banca mondiale).

 Questo rapporto Istat ci dice che oltre la metà del Pil (valore  aggiunto nazionale) è generato da imprese industriali e di servizi appartenenti a gruppi e (dato interessante!)  nelle quali la produttività del lavoro (valore aggiunto per addetto) risulta più che doppia rispetto alle imprese indipendenti. Solo il 3,5 per cento delle imprese è organizzato in strutture di gruppo, ma occupa un terzo del totale degli addetti e produce il 59,3 per cento del valore aggiunto.  La dimensione  media delle imprese appartenenti  a gruppi è  di 38,4 addetti contro una dimensione media del  totale delle imprese di 3,9 addetti. Il PNNR fornisce  l’occasione per incentivare la formazione di gruppi d’impresa, non solo per favorire fusioni-acquisizioni e conseguente concentrazioni tra imprese minori.

In tema di aggregazione, va poi segnalato il sovraffollamento di iniziative ispirate al giusto obiettivo di promuovere il trasferimento tecnologico e lo sviluppo di “ecosistemi innovativi”, che sfocia nel varo– sospinto dall’irrefrenabile ambizione di bandiera campanilistica di presidenti e assessori di enti locali – di una miriade  di agenzie locali chiaramente sottodimensionate per perseguire con efficacia il difficile compito di  una più stretta collaborazione fra centri (non solo accademici) che producono ricerca scientifica e imprese che puntano ad alzare il contenuto tecnologico dei propri prodotti e servizi. Carmine Fotina (su questo giornale del 7 febbraio 2021) segnalava l’Atlante 4.0 del Mise e di Unioncamere, che menziona ben 630 centri per il trasferimento tecnologico e la transizione digitale, tra cui gli 8 Competence Centres previsti da Industria 4.0 in aggiunta a 45 poli di innovazione preselezionati per il programma europeo Edih (European Digital Innovation Hub). 

Sarebbe utile cogliere l’occasione del PNNR per avviare almeno il percorso per avvicinare l’Italia al modello tedesco (spesso citato ma a torto considerato improponibile) della Fraunhofer Gesellschaft,  società pubblica  articolata in 74 centri sui diversi territori e comparti  tecnologici, dotata di attrezzature e personale specializzato. Una massa critica che a sua volta si interconnette con decine di centri dedicati alla ricerca di base, a cominciare dagli 86 centri della società Max Planck. Diverse riforme passate del CNR dai tempi di Marconi restano un fatto incompiuto, che forse il PNNR dovrebbe riprendere in considerazione.

fabrizio.onida@unibocconi.it