Somministrazione globale dei vaccini, il nodo cruciale di accordi e brevetti

Fabrizio Onida  (Sole24Ore, 20 maggio 2021)

Per combattere il Covid-19 e le sue prevedibili varianti nei prossimi anni, senza parlare del pericolo di altre insidiose future pandemie, non basta puntare all’immunità di gregge nei paesi ricchi con i vaccini oggi alla nostra portata (lo ricordava su queste pagine proprio ieri Mario Baldassarri). Con l’auspicato ritorno alla normalità negli scambi di persone-merci-servizi nel mondo, il problema diventa: come impedire efficacemente la diffusione dei contagi importati dall’esterno nei nostri confini senza prefigurare un invasivo regime di capillari controlli sulla libertà di movimento delle persone tra paesi e regioni, con i relativi pesanti riflessi sul funzionamento delle economie?

E’ quindi urgente trovare soluzioni realistiche per estendere a livello globale la somministrazione dei vaccini, i cui processi di scoperta e validazione stanno fortunatamente accelerando oltre ogni previsione sulla frontiera dell’industria farmaceutica mondiale con l’ausilio di ingenti sussidi pubblici a ricerca  e industrializzazione.

Fin dall’inizio del 2020 India e Sud Africa, accompagnati da più di 100 paesi emergenti, hanno lanciato la proposta di ricorrere alle esenzioni (waiver) previste dagli art. 31 e 31bis dell’Accordo sui Trips (Trade Related Intellectual Property Rights), testo firmato nel lontano 1994 in occasione della nascita della Wto che  integrava e superava il vecchio Gatt (General Agreement on Tariffs and Trade). Al di là di qualche slogan populistico sulla “abolizione dei brevetti”, si propone una moratoria temporanea nel regime internazionale dei diritti di proprietà intellettuale, ricorrendo a regimi di “licenza obbligatoria” imposta ai paesi innovatori a favore di altri paesi imitatori: una proposta già contemplata   dalla Doha Declaration on Trips and Public Health approvata il 14 novembre 2001 nell’ambito della Quarta Conferenza Ministeriale Wto svoltasi a Doha. Dichiarazione che ha trovato applicazione negli anni ’90 nella campagna mondiale condotta con successo contro la diffusione dell’HIV-Aids. Ma  non occorre ricordare la radicale differenza fra la trasmissione del contagio Aids (rapporti sessuali non protetti, trasfusioni) e quella aeriforme insidiosissima del Covid-19.

Un regime di licenza obbligatoria sotto l’egida della Wto consentirebbe ovunque  la produzione (originale o in copia) dei vaccini anti-Covid19, riconoscendo magari un modico indennizzo all’impresa titolare dell’innovazione. Si tenga conto che il costo stimato oggi per la produzione di una doppia dose di vaccino è di 4 dollari, contro prezzi d’acquisto da parte dei governi occidentali che oscillano fra 3-4 dollari dei vaccini Astra Zeneca-Johnson&Johnson-CureVac, 15-20 dollari di Pfizer e 50-60 dollari di Moderna (dati approssimati, dato l’uso diffuso di accordi bilaterali tenuti segreti tra paesi).

Dopo un’iniziale incertezza, l’Amministrazione Biden negli Usa ha tolto il veto sulla proposta di imporre licenze obbligatorie alle case produttrici di vaccini originali approvati dagli organismi pubblici di controllo sanitario, ma restano almeno tre problemi all’orizzonte.

In primo luogo il citato accordo Trips e successivo Protocollo del 2005 mantengono il vincolo del “prevalente mercato domestico” per la distribuzione del vaccino da parte del paese primo licenziatario, onde evitare  abusi tramite “importazioni  parallele” su altri mercati. Quindi per permettere veramente la diffusione globale dei vaccini servirebbe l’approvazione all’unanimità in sede Wto  di un altro Protocollo applicativo dell’accordo che elimini questa clausola restrittiva. Il vaccino Astra Zeneca è prodotto in  India al ritmo (aumentabile) di 2 milioni  di dosi al giorno dal Serum  Institute, ma il governo ha vietato l’export per dare priorità agli indiani, come negli Usa la FDA ha  bloccato l’export del vaccino Astra  Zeneca per dare priorità alla vaccinazione dei teenagers.

In secondo luogo è stato sottolineato fin da subito che il principale ostacolo al trasferimento di capacità produttive dei vaccini anti-Covid in paesi emergenti non è tanto la mancanza di mezzi finanziari, quanto la scarsità di risorse umane e di ambiente politico e culturale necessari per l’assimilazione di una tecnologia complessa. Come ricorda  The Economist (15 maggio), nella logica delle “catene globali del valore”  la produzione del vaccino Pfizer  richiede l’accesso a 180 elementi intermedi anche sofisticati (tra cui filtri di purificazione, reagenti per i test, bio-reattori e altri input) forniti da  19 paesi diversi. I vaccini mRNA sviluppati da Moderna e Pfizer sono prodotti biologici estremamente complessi.

In terzo luogo, guardando in avanti, occorre chiedersi senza infingimenti (Vincenzo De  Nicolò, La Voce.info, 8 maggio): senza più diritti di monopolio brevettuale chi scoprirà e produrrà vaccini per la prossima pandemia? Al Summit di Oporto Macron ha proposto che gli europei si battano  perché il vaccino sia  un “bene pubblico mondiale”:  ma bisogna pure  che qualcuno lo produca! Tale interrogativo affiora anche nei timori espressi nell’aprile 2020 dall’allora US Trade Representative Robert E. Lighthizer nel suo Special 301 Report, che sospensioni anche temporanee dei brevetti Covid e importazioni parallele possano nel lungo periodo ledere gli interessi americani a difendere i diritti di proprietà intellettuale anche in campi diversi dove è in gioco la competitività degli Usa, proponendosi una Priority List di paesi da monitorare (Cina, India, Indonesia, Cile e altri) per sollevare eventuali controversie in sede  Wto, istituzione che a differenza da Trump oggi Biden non intende boicottare.  

Bisogna dunque sperare nell’iniziativa internazionale COVAX (Covid-19 Global Vaccine Access Facility), avviata nel 2020 con un contributo Usa di 4 miliardi di dollari e guidata dalla Oms e dalla Commissione Europea, che punta a distribuire 1,8 miliardi di dosi ai paesi a basso e medio reddito a carico dei paesi ricchi. Purtroppo a marzo 2021 il progetto COVAX disponeva solo di un terzo dei fondi necessari. Senza COVAX ci sono poche speranze di vaccinare presto il quinto più vulnerabile dell’umanità.

fabrizio.onida@unibocconi.it