Tobin tax europea?

Il Sole 24 Ore, 11 agosto 2020

Ha senso riaprire in Europa una discussione circa un possibile prelievo fiscale automatico su tutte (o quasi) le transazioni finanziarie fra  soggetti non residenti, anche se talune varianti di “Tobin tax” finora sperimentate a livello nazionale  (Regno Unito dal 1986, Svezia nel 1984-91, Italia dal 2013) e anche quelle proposte nel 2016 dai ministri delle finanze di 10 paesi dell’Eurozona hanno prodotto risultati deludenti e incontrato diffuse critiche di  inefficacia? il tema va ripreso, purchè vi sia la massima chiarezza nell’obiettivo da perseguire e  insieme la massima semplicità e potenza nello strumento da imporre ai mercati.  Meglio non mescolare nella stessa misura obiettivi eterogenei come: scoraggiare le speculazioni destabilizzanti sui titoli e sui cambi, generare maggiori risorse nei paesi ricchi per la cooperazione internazionale allo sviluppo e la diffusione dei beni globali, recuperare fondi spesi per i salvataggi bancari.

Credo che l’obiettivo dell’originale proposta di James Tobin (“sabbia negli ingranaggi” per tagliare le gambe alla speculazione destabilizzante) sia oggi secondario rispetto a quello di assicurare agli Stati nei prossimi anni un gettito fiscale significativo il più possibile indolore per far fronte all’attuale e prossimo eccezionale fabbisogno di spesa pubblica nel contesto post-covid mirato a rilanciare la domanda di consumi e investimenti per combattere povertà e disoccupazione.

Il peso dei debiti pubblici sul PIL sta raggiungendo record storici in quasi tutti i paesi. Occorre intravedere nei prossimi anni fonti di gettito fiscale per il servizio del debito pubblico (interessi e rimborso del capitale) che siano il meno possibile in contrasto con l’evidente urgenza di sostenere il rilancio dell’economia europea. L’euforia che ha accompagnato l’approvazione da parte del Consiglio Europeo del “Next Generation EU”, promettendo agli Stati membri una distribuzione senza precedenti di massicci prestiti e contributi a fondo perduto, non deve nascondere la dura realtà. La realtà di uno scenario in cui le risorse non piovono dal cielo e pertanto obbligano a chiedersi come nei prossimi anni i governi potranno gestire una crescita dell’economia reale compatibile con gli equilibri finanziari visti in prospettiva intertemporale (lungo successivi cicli economici) e sempre più inter-generazionale. Periodi di shock macroeconomici con forti squilibri di finanza pubblica non sono nuovi nella storia, non solo a seguito di guerre e rivoluzioni, e sempre le società hanno prima o poi fornito strumenti più o meno dolorosi per assicurare un riequilibrio.

Per sfuggire alla trappola dell’austerità che peggiora il male, oggi si impone un passaggio assai delicato, imperniato su un significativo spostamento dell’onere fiscale dalle persone alle cose, da imposte sul reddito e su lavoro a imposte indirette, che intaccano solo marginalmente il potere d’acquisto delle famiglie e delle imprese. Naturalmente con l’accorgimento di neutralizzarne l’inevitabile effetto regressivo tramite accorte rimodulazioni della base imponibile e delle aliquote per rispettare il principio costituzionale della progressività (art. 53): un argomento su cui cedo il campo a chi ha serie competenze in scienza delle finanze.

Quanto alla semplicità e potenza dello strumento, basta evitare di addentrarsi nel ginepraio delle distinzioni tra finalità del trasferimento (commerciale, finanziario, assicurativo) e tipologia dello strumento  (azioni, obbligazioni, quote di fondi, proliferazione di derivati, soggetto giuridico coinvolto…). Le forme di Tobin tax finora tentate con deludenti risultati dai vari paesi si sono per lo più concentrate sugli scambi di titoli quotati sui mercati regolamentati e OTC, nonché sull’attività di “high  frequency trading” (HFT). Una Tobin tax con aliquote dello 0,1-0,2 percento sugli scambi di azioni di società con valore superiore a 1 milione di euro- come nell’esperienza inglese e di alcuni paesi europei – genera un gettito del tutto indeguato all’obiettivo di cui sopra, al massimo di 4-5 miliardi all’’anno e in media assai meno.

Un prelievo automatico sulle transazioni  finanziarie cross-border di qualsiasi natura, magari con una soglia minima di ammontare, quasi invisibile sulle singole operazioni (non certo soggetto a versamento tramite modelli F24 come in Italia dal 2013!) sarebbe facilmente implementabile nel sistema bancario europeo e potrebbe rassicurare non poco i mercati circa la sostenibilità dei debiti pubblici. Per l’Italia in particolare, economia fortemente integrata con l’estero, si potrebbe forse intaccare la persistente aspettativa dei mercati di parziale default dello Stato che è oggi riflessa nello spread di 100-200 punti-base a cui il Tesoro deve rassegnarsi ad ogni emissione di debito pubblico.

 Una dettagliata panoramica sulla Tobin tax in alcuni paesi europei, a cura di Giovanni Guazzarotti del Servizio Stabilità Finanziaria della Banca  d’Italia, risale al 20 febbraio 2014. Questa e altre analisi   in sede BCE, trovano come effetto indesiderato di simili tasse sugli scambi internazionali di titoli un aumento della volatilità sui titoli medesimi, nonostante specifici disincentivi fiscali alla HFT. Non si vede perché invece non disegnare meccanismi automatici di prelievo alla fonte con aliquote infinitesimali che colpiscano tutte le transazioni finanziarie fra soggetti non residenti, a prescindere dalla loro finalità e dal particolare titolo.

fabrizio.onida@unibocconi.it