Sterzata eccessiva nella politica della BCE? Ma chi governa le aspettative?Un futuro più umano attraverso la rivoluzione della globotica

Fabrizio Onida (Sole 24Ore, 18 dicembre 2022)

La decisione della BCE di contrastare la recente impennata inflazionistica tramite un robusto rialzo dei tassi di riferimento, accompagnato dall’impegno a dimezzare l’acquisto delle nuove emissioni di debito pubblico dei paesi membri (quantitative easing),   ha risollevato il dibattito sull’inefficacia, se non la pericolosità, di una politica monetaria che alza il costo del denaro in presenza di un’inflazione palesemente originata non da eccesso di domanda, ma da rincaro dei costi dell’offerta derivante dai noti fattori esogeni come pandemia , guerra russo-ukraina e sconvolgimenti climatici. Sia il governo Meloni (Crosetto: una decisione “insensata”) che voci dell’opposizione come la Lega di Salvini (il rincaro dei mutui a tasso variabile espone i soggetti mutuatari a “distruzione del risparmio”) hanno con toni diversi criticato la decisione della BCE, che peraltro è in linea con simili azioni restrittive intraprese dalle banche centrali di Usa , Regno Unito e Svizzera. Con linguaggio meno aggressivo, anche Macron si è unito al coro delle critiche.

Ma è proprio vero che una politica monetaria restrittiva non va bene in presenza di inflazione da costi?

Innanzi tutto, l’inevitabile e politicamente costoso impatto deflattivo sulla domanda finale, provocato dal nuovo corso delle politiche monetarie, opera indirettamente (pur con una certa lentezza) da calmiere sul lato dell’offerta, nella misura in cui il trasferimento dei rincari-shock a monte sui prezzi al consumo (e prima ancora sui prezzi dei manufatti e dei servizi intermedi) è frenato proprio dalle aspettative degli intermediari grossisti sulla domanda finale.

Ed è proprio sul terreno scivoloso delle aspettative che si gioca l’efficacia delle decisioni di politica economica.

Nonostante ripetute raccomandazioni da parte di autorevoli economisti di ispirazione fortemente o debolmente monetarista, gli annunci delle banche centrali sui propri futuri comportamenti (trasparenza, credibilità, affidabilità) non bastano a stabilizzare le aspettative dei mercati.  Scrive un caustico editoriale del Financial Times: “Se le banche centrali decidono di cambiare gli obiettivi precedentemente annunciati, perché bisogna credergli quando fanno la dichiarazione successiva?”

 Peraltro nel mondo dei banchieri centrali si registra tutto fuorchè  unanimità nel giudizio sulla linea ottimale da seguire nell’attuale contesto di congiuntura economica colpita dai richiamati fattori esogeni. Resta imponderabile anche la risposta dei salari alla recente fiammata inflazionistica: risposta che – come in Italia abbiamo sperimentato prima e dopo l’ingresso nell’euro – resta la variabile chiave per segnare il successo o l’insuccesso della cosiddetta politica dei redditi (Ciampi).

Non contribuisce a rassicurare l’opinione pubblica l’osservazione acuta e documentata di Paul Krugman (NYT del 12 dicembre) che non riusciamo facilmente a catturare, dalle sempre più disponibili e assai volatili statistiche sui prezzi, la stima della componente “strutturale” dell’inflazione separata da quella volatile.

Parlando di dilemma delle politiche monetarie attuali circa la durata prevedibile nei prossimi trimestri del nuovo corso di restrizione dopo il lungo periodo di tassi d’interesse nominali estremamente bassi fino a toccare tassi d’interesse reale negativi,   Larry Summers (citato da P.Orsry sul FT), scomoda l’analogia clinica fra  una terapia antibiotica, che prosegue nel tempo anche quando il paziente mostra di star bene, e una terapia aggressiva a base di corticosteroidi che rischia di danneggiare l’intero sistema immunitario.

Sono sempre illuminanti le osservazioni di John Maynard Keynes nella sua Teoria generale (1936).  “Lo stato delle aspettative è soggetto a costanti mutamenti, di modo che le nuove aspettative si sovrappongono alle vecchie molto prima che queste ultime abbiano prodotto tutti i loro effetti (…) la revisione delle aspettative a breve termine è un processo graduale e continuo basato in larga misura sui risultati conseguiti, cosicchè risultati attesi e risultati conseguiti si influenzano e si sovrappongono a vicenda (…)  le aspettative a lungo termine sono soggette a revisioni improvvise” (cap. 5).

E ancora, nel cap. 12“ Stiamo semplicemente ricordando a noi stessi che le decisioni umane riguardanti il futuro, sia esso personale o politico o economico, non possono fondarsi su una rigorosa aspettativa matematica perché mancano le basi per un calcolo del genere, e che è il nostro innato stimolo all’azione a far girare il mondo, con la nostra parte razionale”

 “Se mi è consentito adoperare il termine ‘speculazione’ per l’attività che consiste nel prevedere la psicologia del mercato, e il termine ‘intraprendenza’ per l’attività che consiste nel prevedere il rendimento prospettico dei beni capitali nel corso della loro vita, non è sempre vero che la speculazione predomini sull’intraprendenza. Nondimeno, quanto più è perfezionata l’organizzazione dei mercati finanziari, tanto più aumenta il rischio che la speculazione prevalga sull’intraprendenza (…) Gli speculatori possono non essere dannosi se sono come bolle di superficie nel flusso continuo dell’intraprendenza. Ma il problema diventa serio se è l’intraprendenza a diventare una bolla di superficie nel vortice della speculazione”.

Sono parole che andrebbero meditate anche dagli adepti alle criptovalute.

fabrizio.onida@unibocconi.it

Fabrizio Onida (Sole 24Ore 9 aprile 2023)

Dall’ingresso delle ormai consolidate ICT (tecnologie dell’informazione e comunicazione), fino al recente avvento della intelligenza artificiale, il mondo si interroga su come governare le continue trasformazioni del mercato del lavoro, derivanti dalla combinazione di macchine e lavoro umano sullo sfondo della  continua globalizzazione dei mercati. Un libro di Richard Baldwin (Graduate School of International Studies di Ginevra) suggerisce dense riflessioni su automazione, robotica, telelavoro e migrazioni delle persone, proponendo lo stimolante acronimo di “rivoluzione globotica” (2019, trad. it. Mulino 2020).

Automazione e globalizzazione sono processi vecchi di secoli, ma la “rivoluzione della globotica”  (globalizzazione combinata con diffusione della automazione-robotica che modifica profondamente il mercato del lavoro) si distingue perchè: a) arriva con una rapidità inimmaginabile;  b) “sembra tremendamente ingiusta”.  

Dopo il vapore e l’elettricità, la terza rivoluzione industriale basata sul computer sconvolge le regole della concorrenza. In aggiunta alla concorrenza delle merci provenienti dagli altri paesi e quella degli immigrati che sostituiscono la manodopera nazionale, le classi medie americane ed europee devono confrontarsi con la concorrenza sleale sia dei “telemigranti che lavorano nei nostri uffici” che dei robots-colletti bianchi o “robots-software”. Entrambi agiscono da freno  alle retribuzioni dei lavoratori nazionali e aumentano il divario temporale fra posti di lavoro cancellati e creazione di nuovi posti di lavoro.

Il lavoro a distanza è stato fortemente incoraggiato su tutto il mercato del lavoro nazionale a seguito della pandemia, ma esteso ai movimenti internazionali delle persone e dei servizi ha generato la crescita delle figure che possiamo definire “telemigranti”.

Non da oggi i confini tra manifattura e servizi vanno stemperandosi e intrecciandosi. Basti ricordare quanto la competitività internazionale dei paesi avanzati (Italia in testa) dipenda sempre meno dai puri differenziali del costo del lavoro e sempre più dal contenuto di servizi incorporati nelle merci: innovazione tecnologica nelle proprietà d’uso del prodotto, qualità intrinseca e percepita, reputazione, valore dei marchi di fabbrica, affidabilità dei fornitori, aderenza ai vincoli di sicurezza e anbientali, logistica e tempi di consegna, assistenza tecnica post-vendita.

L’avvento del microprocessore (computer-on-chip), brevettato da Texas Instruments nel lontano 1973, ha scatenato la grande trasformazione dei servizi dopo la prima rivoluzione industriale e portato alla nuova rivoluzione o “seconda età delle macchine” (Erik Brynjolfsson-Andrew McAfee 2014, trad.it Feltrinelli 2015).

La nuova tecnologia digitale, privilegiando i cervelli e riguardando beni immateriali, produce una dirompente accoppiata automazione-globalizzazione che purtroppo – a differenza dell’alta marea che solleva tutte le barche nel linguaggio del presidente J.F.Kennedy nel 1963 –  genera nuove profonde disuguaglianze tra paesi e all’interno dei paesi.

Numerosi e crescenti sono gli esempi di posti di lavoro spiazzati dalle nuove tecnologie e dal fenomeno dei telemigranti. Si va da lavori umili e sottopagati (come contadini, pastori, manovali, muratori, custodi, personale di pulizia, riders) a lavori semi-qualificati che richiedono un certo livello di istruzione (come dattilografe, stenografi, contabili,  archivisti, segretarie, centralinisti, magazzinieri, commessi, autisti, infermieri, addetti alla ristorazione, call centres), a impiegati di medio  livello precedentemente addetti a raccogliere, elaborare e trasmettere informazioni, fino a ingegneri, programmatori informatici, assistenti digitali, infermieri qualificati spiazzati da telemigranti mediamente istruiti.

I flussi mondiali di informazione da decenni raddoppiano ogni due anni, secondo la nota legge di Moore per cui il numero di transistors per pollice quadrato raddoppia ogni 18 mesi (Gordon Moore, direttore R&S Fairchild Semiconductor Corp. che la enuncia nel 1965 e nel 1968 passa a fondare Intel Corporation). A questa si aggiungono altre regolarità come  la legge di Robert \Metcalfe ( il valore di una rete cresce due volte più velocemente del numero di persone connesse) e la legge di Hall Varian: i componenti digitali sono gratuiti (open source, possono essere copiati liberamente).

Per superare i limiti fisici ( si sta andando verso transistors larghi 2-3 nanometri, cioè la dimensione di 10 atomi) arriva il calcolo quantistico con cui già si ipotizza il passaggio dai chip 2D a chips 3D. A differenza di un calcolatore classico, basato su transistori che operano su dati binari (codificati come bit, 0 o 1), il calcolatore quantistico opera con bit quantistici, o qubit, di cui lo stato quantistico può possedere più valori, o più precisamente un singolo valore quantistico che corrisponde simultaneamente a più valori classici.

Prima conclusione (alquanto nota anche se assai sfidante per i governi democratici): dobbiamo proteggere i lavoratori, non i singoli posti di lavoro, sulla scia di politiche innovative come la “flexibility” coltivata in Danimarca.

Seconda conclusione: la rivoluzione della globotica non deve necessariamente aggravare le ingiustizie nel mondo, deve invece concorrere a un futuro “più umano e più locale”(Baldwin).

Passata l’euforia di molti “fondamentalismi di mercato”, dagli anni ’90 sta crescendo la consapevolezza che le economie di mercato funzionano bene solo se appropriatamente regolate e incentivate (tra gli altri: Daron Acemoglu, In search of a new political economy, Project Syndicate, 7 aprile 2023)

Non basta investire in automazione e robotistica per accrescere la produttività dei lavoratori se non ne deriva una “prosperità condivisa” che dipende da una giusta composizione di tecnologia, istituzioni e norme sociali. Non sottovalutiamo il rischio di un mercato che sovrainveste in automazione a spese dei benefici sociali ed economici che deriverebbero da una migliore produttività dei lavoratori e da un riequilibrio delle eccessive disuguaglianze alimentate dalla crescita non regolamentata dei mercati.  Gli strumenti classici di redistribuzione del reddito (fiscalità, trasferimenti) non bastano allo scopo, se la contrattazione salariale e il consenso sociale non garantiscono che i lavoratori ricevano  “a fair slice of the economic pie” cioè partecipino equamente alla diffusione del maggior benessere prodotto dal progresso tecnologico.

fabrizio.onida@unibocconi.it